SUL NEO-ANTISEMITISMO IL PAPA NON È AMBIGUO | Il mio editoriale su “La Stampa”

Antonio Spadaro SJ
4 min readNov 9, 2023

In un tempo in cui l’ordine mondiale è sconvolto e si i pezzi di una guerra mondiale sembrano saldarsi, la tentazione è quella di perdere lucidità. La cosiddetta «diplomazia della misericordia» di Francesco consiste nel non dare mai nulla per perso nei rapporti tra i popoli. Anche per questo il Papa non usa normalmente la parola «geopolitica» perché per lui ha il sapore del Risiko ed è dominata dalla logica di potere delle nazioni. Non la nega come disciplina, ma non è parte del suo vocabolario da successore di Pietro.

La «geopolitica» bergogliana intende sciogliere i nodi, fluidificandoli con l’unzione del balsamo evangelico, cioè della misericordia, o almeno ci prova, immaginando una convivenza umana e un’azione politica che parli il linguaggio della riconciliazione con il nemico, senza escluderlo. Anzi, cercando di coinvolgerlo. Non deve mai stupire che il Papa parli con chiunque per il maggior bene possibile. Così è stato di recente anche nel caso delle telefonate con il Presidente turco e quello iraniano. La sua vicinanza al popolo palestinese è palese, la sua condanna per l’orrore scatenato da Hamas altrettanto. Circa l’amore per l’ebraismo non deve esserci alcun dubbio. Ricordo le parole che il rabbino Skora, suo amico di lunga data, mi disse in una intervista che gli feci per La Civiltà Cattolica: «Le molte cose che ho visto e sperimentato accanto a Bergoglio mi inducono ad affermare che egli vede e sente l’Ebraismo come la madre della sua fede. Non è una mera percezione intellettuale, bensì un sentimento che costituisce una componente importante della sua fede personale».

Sarebbe, dunque, un vero abbaglio scambiare l’atteggiamento di Francesco per ambiguità. È semmai — per usare una bella e delicata immagine che ho sentito da Martin Scorsese — come «camminare tra le gocce della pioggia».

Francesco nel 2018 ha firmato ad Abu Dhabi un fondamentale «Documento sulla Fraternità umana» con l’imam di Al-Azhar. Lungimiranti allora le dichiarazioni di Ronald S. Lauder, presidente del Congresso ebreo mondiale: «A nome della comunità ebrea mondiale, posso dirvi che la Dichiarazione di Abu Dhabi è un documento internazionale determinante che noi, ebrei, rispettiamo profondamente. Condividiamo i suoi valori fondamentali e approviamo i suoi princìpi fondamentali».

Proprio la dinamica politica spirituale ed evangelica — perché il Papa è un leader spirituale — dà forma alle sue reazioni davanti all’orrore. La reazione di Francesco davanti alle tragedie di attentati e terrorismo è quella dello sgomento, non dello schieramento.

Per capire questa logica ricordiamo le parole nel suo discorso durante la visita al Memoriale dello Yad Vashem, a Gerusalemme, il 26 maggio 2014, nel quale si rivolse all’uomo in quanto tale senza alcuna connotazione di vittima o carnefice: «Questo abisso non può essere solo opera tua, delle tue mani, del tuo cuore. Chi ti ha corrotto? Chi ti ha sfigurato? Chi ti ha contagiato la presunzione di impadronirsi del bene e del male?».

In una telefonata al giornalista Lucio Brunelli, direttore di TV2000, dopo gli attentati di Parigi del 13 novembre 2015 Francesco disse: «Sono commosso e addolorato. Non capisco, ma queste cose sono difficili da capire, fatte da esseri umani. Per questo sono commosso, addolorato e prego». Queste frasi hanno un senso preciso, soprattutto se consideriamo anche il tono di voce con cui il papa le ha pronunciate: non l’invettiva, ma lo sgomento. Innanzitutto, esse esprimono la condanna più forte possibile, perché riconoscono l’irriducibilità a pensiero chiaro e distinto di ciò che è accaduto nella sua radicale non-umanità. Ma inoltre si comprende bene che il papa si lascia interrogare senza «addomesticare» la domanda. E si interroga sulle ragioni — anche storiche e politiche –, sulla profondità del male e del come sia stato possibile che esso si sia radicato così in profondità.

Francesco è estremo, ed è giunto a postulare — a Betania nel 2014 un paradossale «diritto dell’aggressore», cioè il diritto «di essere fermato per non fare del male». In tal modo si vede la realtà da una prospettiva duplice che include e non esclude il nemico e il suo maggior bene. Senza l’amore al nemico (non solo al prossimo), il Vangelo diventerebbe un bel discorso edificante, ma non certo — anche politicamente — rivoluzionario.

(originariamente pubblicato sul quotidianoLa Stampa dell’8 novembre 2023 qui https://www.lastampa.it/editoriali/lettere-e-idee/2023/11/08/news/sul_neo-antisemitismo_il_papa_non_e_ambiguo-13844450/#:~:text=In%20un%20tempo%20in%20cui,nei%20rapporti%20tra%20i%20popoli.)

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Antonio Spadaro SJ
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Written by Antonio Spadaro SJ

Sottosegretario del Dicastero Vaticano per la Cultura e l’Educazione🇻🇦| già XX .mo Direttore di Civiltà Cattolica e BoD di Georgetown University

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