Papa Francesco, “La letteratura apre il cuore e la mente”

Antonio Spadaro SJ
6 min readAug 6, 2024

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di Antonio Spadaro

Il Pontefice sottolinea il valore della lettura di romanzi e poesie nel cammino di maturazione personale. Una palestra che esercita a vedere attraverso gli occhi degli altri

Papa Francesco ha deciso di scrivere una Lettera sul “valore della lettura di romanzi e poesie nel cammino di maturazione personale”. Si tratta di una decisione forte, inedita per un pontefice, che riconosce nella pagina letteraria l’apertura di uno spazio interiore di libertà che permette di non chiuderci dentro “poche idee ossessive che ci intrappolano in maniera inesorabile”. Uno spazio che si apre perfino “quando neanche nella preghiera riusciamo a trovare ancora la quiete dell’anima”.

Questa Lettera nasce dall’esperienza personale di Bergoglio. Nell’agosto 2013 parlavo con lui di ottimismo. Era stato eletto da appena cinque mesi. In questa conversazione mi diceva che non ama definirsi «ottimista». Per lui è una definizione troppo psicologica. Però spera. «Pensa al primo indovinello della Turandot di Puccini», mi dice.

In quel preciso momento mi sono reso conto che Jorge Mario Bergoglio è una persona che vive la poesia e l’espressione artistica come parte integrante della sua spiritualità e della sua pastorale. Mi era capitato già varie volte, sentendolo parlare da papa, di aver riconosciuto una criptocitazione di passaggio, posta lì senza premesse né spiegazioni «colte». Il suo discorso ama le metafore ed è naturalmente impastato di echi d’arte. Quella che più mi ha colpito è una citazione a memoria de La strada di Fellini che fece in una potente omelia pasquale a braccio.

Per Bergoglio la letteratura e l’arte sono vita. Ed è per questo che oggi arriva a definirla senza mezzi termini “essenziale” per la formazione dei preti e di chi si prende cura pastorale della gente. Giunge a stabilire un ponte tra due “ministri della parola”: il poeta e il prete. E lo fa citando Karl Rahner, grande e geniale teologo gesuita oggi dimenticato.

L’arte non è “per l’arte”, non è un mondo a parte, colto, dotto, aulico, sostanzialmente “borghese”. La sua visione radicalmente “popolare” tocca anche la produzione artistica e la sua fruizione. Bergoglio è molto sensibile al “genio” e alla “creatività”, che per lui non sono eccezioni, ma dimensioni della vita ordinaria affrontata con energia e intensità. La letteratura ha “a che fare, in un modo o nell’altro, con ciò che ciascuno di noi desidera dalla vita”, scrive nella sua Lettera. Ma lo aveva già insegnato ai suoi studenti di liceo tanti anni fa. Oggi cita le sue lezioni di allora. Bergoglio li aveva introdotti alla scrittura creativa, coinvolgendo il suo amico Borges che della Lettera è uno dei protagonisti.

Ma per lui è creativo non solamente chi scrive, ma anche chi legge. Nella sua Lettera arriva ad affermare persino che il lettore è coautore, cioè “riscrive l’opera, la amplifica con la sua immaginazione, crea un mondo, usa le sue capacità, la sua memoria, i suoi sogni, la sua stessa storia piena di drammi e simbolismi, e in questo modo ciò che emerge è un’opera ben diversa da quella che l’autore voleva scrivere”.

“Io amo gli artisti tragici”, mi dice, e nella sua Lettera lo ripete. La sua non è pura attrazione per la tragedia intesa come genere letterario, ma è desiderio di entrare dentro la condizione umana anche per la via della rappresentazione estetica. Non è il tragico elitario, raffinato, a colpirlo, ma il tragico “popolare”. A tal punto che egli fa sua la definizione di opera “classica” che si ricava da Cervantes: l’opera che tutti in qualche modo possono sentire come propria, non quella di un gruppetto di raffinati intenditori.

La passione per il neorealismo è da inserire in questa visione dell’arte legata al popolo. Così come l’interesse per un’opera che a Bergoglio piace, anche se non si tratta affatto, per sua stessa ammissione, di un capolavoro: il poema epico argentino Martín Fierro, scritto da José Hernández nel 1872, che dà forma al desiderio di una società in cui tutti trovano posto: il commerciante porteño, il gaucho del litorale, l’aborigeno e l’immigrante. I suoi accenti nel parlare di Martín Fierro ricordano il romanticismo democratico e popolare di un Walt Whitman, contemporaneo di Hernández.

Ma soprattutto i racconti, le storie, hanno il realismo della carne umana, che poi è quella dello stesso Gesù: “quella carne fatta di passioni, emozioni, sentimenti, racconti concreti”, scrive Francesco nella sua Lettera. È nella lettura che “ci tuffiamo nei personaggi, nelle preoccupazioni, nei drammi, nei pericoli, nelle paure” della vita, e così diventiamo “sensibili al mistero degli altri”.

La dinamica popolare dell’estetica bergogliana è la stessa della sua visione da pastore. Leggere non è guardare il flusso della vita dal balcone (balconear, dice Francesco nel suo dialetto), ma è un modo di fare esperienza e aprire la testa e il cuore per capire meglio la realtà. È “una palestra dove allenare lo sguardo”, che esercita a “vedere attraverso gli occhi degli altri”. L’arte e la letteratura non sono semplicemente un “laboratorio” di sperimentazione avanguardistica: sono invece parte del flusso della storia, parte del cammino dell’uomo sulla terra. Sono frontiera avanzata, ma non circolo elitario. Gli artisti non sono isolati dagli altri: creare arte e coltivare la bellezza sono patrimonio della comunità, non del singolo.

Uno dei gravi problemi della fede, per Bergoglio, consiste nel fatto che non possiamo “immaginare” le verità che crediamo: ci mancano immagini potenti. Questo è uno dei motivi per cui ama la “pietà popolare”: è una riserva aurifera di immagini forti e ben innestate nell’immaginario collettivo di un popolo. La letteratura latinoamericana, in generale, potrebbe aiutarci a comprendere meglio l’importanza di un immaginario ricco e non conformista.

La riprova del legame che lui avverte tra opera d’arte e visione della vita l’ho avuta proprio nel momento in cui Bergoglio, in quel nostro colloquio del 2013, mi dice con forza che le forme di espressione della verità possono essere varie e difformi, e che anzi l’uomo col tempo cambia il modo di percepire sé stesso. Per esprimere il concetto preferisce non ricorrere a riflessioni sofisticate sul «cambio antropologico», ma dire, più semplicemente e direttamente, che una cosa è l’immagine ellenistica di uomo che ha prodotto la Nike di Samotracia, altra è quella che trova la sua forma nelle tele del Caravaggio, e altra ancora è quella del surrealismo di Dalí.

Poi, per parlare del pensiero che inganna l’uomo e della necessità che la Chiesa recuperi «genialità» nel comprendere la vita e l’esperienza umana, cita Ulisse, Tannhäuser e Parsifal. Sono esempi che definiscono “un terreno poco stabile dove i confini tra salvezza e perdizione non sono a priori definiti e separati”. È la vast land della letteratura che insegna a confrontare la parola con la vita.

Modulando il suo pensiero tra un autore e l’altro, Francesco mi ha parlato della sua passione per il Mozart eseguito da Clara Haskil: «Mi riempie: non posso pensarlo, devo sentirlo». In queste poche parole c’è tutta una concezione della fruizione estetica che distingue «sentire» e «pensare». Un artista si gusta se «sentito», non se è «pensato». In questa Lettera Francesco lo afferma con chiarezza. Non che la prima cosa escluda la seconda. Però è possibile che il sentire sia talmente forte, ricco e coinvolgente da superare immensamente la sua analisi teorica. Aveva scritto Bergoglio nel 2005: «La sapienza non si ferma alla conoscenza. Sapere significa anche gustare. Si sanno le conoscenze… E si sanno anche i sapori». Ma proprio questo è il principio fondamentale degli Esercizi spirituali di sant’Ignazio di Loyola, il suo fundador: “non è il molto sapere che sazia e appaga l’anima, ma il sentire e gustare le cose”. Questo dobbiamo imparare a non perdere in una vita segnata dall’algoritmo dell’efficienza: sentire e gustare le cose. Per questo dobbiamo tornare a sfogliare le pagine di un romanzo e a seguire gli spazi interrotti di un verso poetico.

Pubblicato su la Repubblica del 5 agosto 2024 https://www.repubblica.it/cultura/2024/08/04/news/papa_francesco_la_letteratura_apre_il_cuore_e_la_mente-423431282/

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Antonio Spadaro SJ

Sottosegretario del Dicastero Vaticano per la Cultura e l’Educazione🇻🇦| già XX .mo Direttore di Civiltà Cattolica e BoD di Georgetown University