Franco Battiato non si acchiappa. La leggenda del gesuita euclideo
Battiato non si acchiappa. La sua lettura del reale non è mai geometrica ed euclidea. Non rispetta postulati, ma li mette in questione con un ésprit de finesse che pare alieno per forma e contenuto dal panorama attuale. Un’anima sintonica con la sua c’è stata, quella di un’altra gigante della musica italiana per la quale però il nostro Paese non era pronto: Giuni Russo. Siciliana come Battiato, ma adottata dall’«altra» isola, la Sardegna, condivideva con lui una cosa, almeno: il fatto che la sua ricerca spirituale prendeva naturaliter la forma della sperimentazione musicale. Questo è il punto: Giuni e Franco pensavano in musica, pregavano in musica, meditavano in musica. Che poi Giuni avesse fatto gli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola e si perdesse nelle stanze del Castello interiore di Teresa d’Avila — mentre Franco era eclettico ed ellittico — è un altro discorso. Ma Franco scriveva per Giuni.
L’esercizio dello spirito in Franco (e in Giuni) diventava — anzi era — creatività e sperimentazione. E che cos’è lo spirito se non sovversione del materialismo e delle logiche consolidate aliene dalle contaminazioni? Battiato contaminava magmaticamente: la musica orchestrale e quella etnica, l’elettronica e i riferimenti classicheggianti, il rock progressivo e le arie siciliane cantate da una lingua isolana, antica e potente. L’alto e il basso mixati poeticamente come in Stranizza d’amuri che canta quella scossa ‘ndo cori percepita romanticamente sullo sfondo poetico dei bisogni dei carrettieri con i muscuni che ciabbulaunu supra. Ma anche le filosofie e le teologie. «C’è mescolanza e separazione di cose mescolate», avrebbe potuto dire con Empedocle. Le rette parallele in lui si incontrano in una sperimentazione audace, indifferente alle mode e al successo commerciale, che con L’Egitto prima delle sabbie gli aveva fatto vincere addirittura il premio Stockhausen di musica contemporanea.
Sperimentare, contaminare, coniugare sono esercizi dello spirito che piacevano molto a Franco. E credo li ritrovasse misteriosamente in Li Madou, come chiamavano i cinesi padre Matteo Ricci (1552–1610) della Compagnia di Gesù. Il gesuita maceratese era entrato in Cina per la porta stretta dell’inculturazione. Si era fatto cinese contaminando — senza travestimenti — la sottana nera del prete con i panni da bonzo, prima, e da mandarino, poi, per entrare a corte dell’imperatore Wan Li della dinastia dei Ming. E fu Ricci a introdurre nella cultura cinese i primi elementi di geometria euclidea. Ricci coniugò pure rituali confuciani e liturgie cristiane. Gesuita. Forse Battiato si identificava con il gesuita Ricci più che con i furbi contrabbandieri macedoni che pure ha cantato. Gesuiti euclidei / vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori / della dinastia dei Ming, sperimentando, contaminando, coniugando mondi, teologie, liturgie, lingue e geometrie.
L’autore di Cuccurucucu subisce il loro fascino perché era alla ricerca di un centro di gravità permanente nella sua vorticosa danza di ricerca. Lo subiva sin dagli esordi, nel 1972, quando il suo misticismo era ancora solo una posa freak, forse. Una volta, trovandosi davanti a me, un gesuita in carne ed ossa, mi canticchiò in faccia la sua canzone, ma lo fece con un’aria strana, come a volersi identificare per simpatia. Ma guai a immaginare che questo centro di gravità possa essere statico o rigido. È a sua volta il frutto della contaminazione — non del travestimento: deve essere chiaro! — che richiede un bilanciamento dinamico degli elementi. Quello necessario a un sufi per girare in tondo, quello che serve per vedere i mondi interiori e capire meglio la mia essenza.
Battiato era un siciliano, e dunque un filosofo. Era della stirpe di Empedocle di Agrigento, di quelli che cerca di comporre la stabilità dell’essere e la molteplicità, salvando sempre il conflitto, il polemos, del divenire che scorre. La spiritualità dei gesuiti ha impianto empedocleo, del resto, capace di discernere la stabilità dell’essere nella realtà mutevole, e viceversa.
Vorticare attorno a un centro di gravità ha portato Battiato da Milano a Milo, il paesino della Sicilia nel quale è vissuto monasticamente cercando il suo Oceano di silenzio. Lì dove ha lasciato questa terra. Sulle stesse pendici dell’Etna si era ritirato Juri Camisasca, musicista con il quale Battiato strinse un sodalizio profondo, il quale scelse la vita monastica benedettina prima e quella eremitica poi. Un monaco si aggirava nel casino della canzone italiana. E questo era Battiato. Il suo profilo dal naso aquilino spero tormenti la scena modaiola dei microfoni italiani. Il vortice attorno a un centro di gravità permanente lo ha portato a unire umano e divino in canzoni straordinarie come E ti vengo a cercare, La Cura, Lode all’inviolato, L’ombra della luce e tante, tante altre.
Ma nulla di astratto: Franco non era un’anima bella. Lo testimonia la sua pur breve esperienza politica. Riflettendo su quella, parlava dell’«occhio interiore» dei tibetani che permette di vedere l’«aura» degli uomini: «Qualcuno ce l’ha nera, come certi politici senza scrupoli, mossi da bassa cupidigia, altri ce l’hanno rossa come la loro rabbia…». Aveva cantato la nostra Povera patria / schiacciata dagli abusi del potere / di gente infame, che non sa cos’è il pudore. Ecco, c’è la necessità di avere un occhio interiore, di discernere anche nell’impegno politico ciò che autentico e inautentico.
Il mondo, l’umanità, il nostro Paese devastato dal dolore richiedono una guarigione per grazia e non solamente per sforzo. In Battiato c’è il bisogno radicale di una presenza terapeutica capace di «prendersi cura», non di un aristotelico motore immobile che produce correnti gravitazionali fisse. E ti vengo a cercare / perché sto bene con te / perché ho bisogno della tua presenza, canta. E cerca un aiuto chiaro da un’invisibile carezza / di un custode. Prega: Difendimi dalle forze contrarie / la notte, nel sonno, quando non sono cosciente / quando il mio percorso si fa incerto / e non abbandonarmi mai / non mi abbandonare mai. E la promessa è ricevuta così: E guarirai da tutte le malattie / perché sei un essere speciale / ed io, avrò cura di te. Apparati ermetici e ispirazioni esoteriche che plasmano i suoi testi enigmatici, citazioni da Gurdjieff, Guénon e Ouspensky eccetera eccetera sono alla fine tenere forme balbuzienti per dire questo grido di salvezza e profondità. Il dialogo spirituale sui Padri del deserto e l’amicizia degli ultimi otto anni con padre Bormolini dei «Ricostruttori della preghiera», un movimento fondato dal gesuita p. Gianvittorio Cappelletto, lo testimonia silenziosamente, privatamente connettendo le sue meditazioni bibliche, le letture di san Giovanni della Croce e sant’Agostino, la cura per la liturgia cattolica come ci dicono, ad esempio Messa arcaica e Pasqua etiope e tanto altro.
You have been bitten by the metaphysical bug, Pier Vittorio Tondelli fa dire a un sacerdote nel suo romanzo d’addio, Camere separate. Quel prete avrebbe potuto dirlo anche a Franco Battiato senza timore di smentita: anche lui era stato punto dalla cimice metafisica. E per questo era, a suo modo, un gesuita.
(originariamente apparso su Robinson di la Repubblica, il 22 maggio 2021 con titolo «La leggenda del gesuita euclideo»)